In Valpolicella questo scontro tra il cemento e la terra assume però un connotato particolare, molto simbolico:
più che contro il “cemento utilizzato” qui, infatti, si lotta contro il
“cemento prodotto”. A Fumane, uno dei sette Comuni del territorio,
sorge sin dai primi anni ’60 un grande cementificio. Per anni è stata
una delle risorse economiche più importanti dell’area, anche in termini
di occupazione. La sua presenza, già di per sé molto ingombrante anche
se “utile”, diventa non più sostenibile dalla fine degli anni ’90 quando
una richiesta di escavazione della collina di Marezzane prima e il
progetto di ampliamento del cementificio poi, fanno sollevare i cittadini che si costituiscono in Comitati (Fumane Futura e Valpolicella 2000 in particolare). Dopo oltre dieci anni di battaglie, sono arrivate nelle ultime settimane un’importantissima sentenza del Consiglio di Stato e un parere della Soprintendenza
per i beni architettonici e paesaggistici, che costituiscono un
successo per i Comitati e sembrano segnare irrevocabilmente il destino
del cementificio. Vignerons e agricoltori della Valpolicella, che negli
ultimi anni hanno mostrato una crescente attenzione per il biologico e
il rispetto dell’ambiente in generale, hanno oggi la possibilità di
vincere la scommessa più importante: creare ulteriori nuovi posti di
lavoro e dimostrare fino in fondo che questa è la vera vocazione
economica del territorio.
Questa storia rappresenta idealmente il
bivio di fronte al quale si trova oggi un po’ tutto il nostro paese: da
un lato un modello economico/industriale cosiddetto “capital intensive”,
dove di lavoro se ne crea poco, l’impatto ambientale è diventato non
più sostenibile, le popolazioni subiscono le conseguenze anche sulla
loro salute, la delocalizzazione è sempre lì dietro l’angolo. Dall’altro
lato un modello “labour intensive”, che passa per l’agricoltura di
qualità e il suo indotto, il turismo, l’artigianato, ma anche una
rivisitazione profonda dei settori che hanno più pesato nell’economia
italiana dall’ultimo dopoguerra a oggi. Ad esempio proprio l’edilizia,
che invece di continuare a realizzare nuove costruzioni destinate a
rimanere vuote (ma capaci di consumare il bene più prezioso che è il
suolo fertile), può dedicarsi alle ristrutturazioni e al recupero di
efficienza energetica dei tantissimi edifici esistenti
che hanno un bisogno estremo di interventi di questa natura. A proposito
di edifici vuoti (civili, commerciali, industriali) segnalo il censimento che il Forum Italiano dei Movimenti per la terra e il paesaggio sta promuovendo in questi mesi in tutti i Comuni d’Italia.
Nel
nostro bellissimo e malandato paese, bonifiche e ristrutturazioni
offrono grandissime opportunità di lavoro per almeno due generazioni.
Gli amministratori di destra e di sinistra sembrano incapaci di cogliere
queste occasioni, forse nemmeno le vedono. L’idea di un nuovo modello
di sviluppo che nasce dal basso, dalla società civile, è
mortificata continuamente da scelte inspiegabili (come il decreto
annunciato dal Ministro dell’Ambiente per permettere l’impiego di
rifiuti come combustibile per i cementifici).
Non ci salverà un
bicchiere di Amarone ma è evidente che le due economie non possono più
convivere e una scelta diventa obbligata: non si possono bruciare
rifiuti per fare cemento e pensare che si possano poi esportare le produzioni alimentari
nate sotto i camini di inceneritori e cementifici. La Valpolicella ha
fatto la sua battaglia e sta ora cercando di fare la sua scelta ma tutti
i territori d’Italia dovrebbero leggere quella storia come se fosse la
loro.
di Roberto Burdese | 7 maggio 2012
http://www.ilfattoquotidiano.it

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